La musica mi costringe a dimenticarmi di me stesso, a dimenticare la mia situazione concreta, e mi trasporta in una situazione diversa, che non è la mia; sotto l’influenza della musica mi sembra di sentire ciò che in realtà non sento, di capire ciò che non capisco, di poter fare cose che in realtà non posso fare. Io me lo spiego nel senso che la musica agisce come uno sbadiglio, come una risata: non ho voglia di dormire, eppure sbadiglio se vedo qualcuno che sbadiglia; e così, anche se non c’è nessuna ragione di ridere, io rido se sento qualcuno che ride.
Tolstoj è riuscito a farmi apprezzare il monologo di un folle che, spinto da un’irrazionale gelosia, uccide sua moglie.
Partiamo dallo stile: magnificamente scorrevole ma mai banale, chiaro e ricco allo stesso tempo. Inoltre, l’impronta “dostoevskiana” presente nel protagonista ha sicuramente contribuito a rendere la lettura ancor più interessante. Pozdnyšev, infatti, ricorda un po’ Raskolnikov per il suo evidente tormento interiore e per le “motivazioni oscure”, e talvolta incomprensibili, alla base delle sue azioni.
La musica, che fa da sfondo alle vicende, è la causa della gelosia di Pozdnyšev, la cui moglie sembra particolarmente attratta da un abile violinista. È proprio quando i due suonano la celebre Sonata a Kreutzer di Beethoven che Pozdnyšev avverte una volta per tutte un’intesa (mai esistita realmente) fra di loro e, spinto dalla sua collerica gelosia, accoltella la moglie.
Proprio come l’inconfondibile tema della sonata, quell’irrazionale rabbia cieca cresce con sempre maggiore tensione, mentre la mente, schiacciata e deviata dalla rabbia stessa, rincorre a perdifiato oscuri pensieri.
È un libro controverso, “scritto con cattiveria”, come direbbe Sonja Tolstoj, moglie dello scrittore.
Tolstoj è sicuramente un autore da approfondire, soprattutto nel suo essere filosofo. Penso che questo sia il miglior libro per iniziare, anche se per adesso la mia esperienza tolstoiana è ancora molto limitata.


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