Pro e contro delle passioni, il “Werther” e “Le affinità elettive”

Intraprendere un viaggio attraverso le tempestose passioni del romanticismo, unite alla compostezza dell’età pre-classica, è stata per me un’esperienza decisamente interessante.

Ho deciso di iniziarmi a Goethe con “Le affinità elettive”, romanzo più pacato e forbito rispetto al primo (che forse voi tutti già conoscete come l’alter ego de “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”), “I dolori del giovane Werther”.

Il saldo matrimonio di Carlotta ed Edoardo viene messo in crisi dall’arrivo di altri due elementi, Ottilia e il Capitano. Seguendo, quindi, quel principio chimico che prende proprio il nome di “affinità elettiva”, Carlotta comincia a sentire un’attrazione per il Capitano, mentre Edoardo si lascia trasportare da un’insana passione per la giovane Ottilia.

Si comincia a riconoscere ciò ch’è di pregio nel mondo, solo quando si ha occasione di professare tali sentimenti per un oggetto determinato.

Il rapporto tra natura e cultura, tra il mondo razionale e quello delle impetuosità, trasmettono un insegnamento che trapassa il presente e s’incammina verso l’eternità: le passioni umane costituiscono l’unica vera rovina per l’uomo che, tentando di disobbedire alle leggi razionali, va inevitabilmente incontro alla tragedia.

Fin qui, nella mia vita, non s’era avuto che preludio, attesa, passatempo, spreco di tempo, finché non la conobbi, finché l’amai, e allora veramente amai.

Edoardo

Ottilia risponde, dunque, con un sentimento “rigoroso e castissimo”, cercando in tutti i modi di controllarsi e di dimenticare. Ma, alla fine, ritorna l’impeto. Ritorna da lei, turba quel cuore così precario, e tutto viene affidato al caso, beffardo. Allora gli uomini, rompendo le leggi della “cultura”, della ratio, diventano burattini passivi e schiavizzati dell’impetuosità.

Le grandi passioni sono malattie disperate. Ciò che potrebbe sanarle è proprio ciò che le rende pericolose.

La passione s’esalta e si modera secondo che si confessi. In nulla sarebbe forse più desiderabile tenere la via di mezzo, quanto nel confidarsi e tacere con coloro che amiamo.

“I dolori del giovane Werther” è, invece, un romanzo ben diverso: qui non vi è alcuna compostezza classica, è tutto un turbinìo di bramosie quasi febbrili. Considerato come il manifesto del primo romanticismo, è senza dubbio un’opera colossale, a dispetto delle apparenze, che ho da subito sentito molto affine alla mia sensibilità.

È dunque destino che dove un uomo trova la sua beatitudine lì pure deve trovare la sorgente della sua infelicità?

Werther è il Romantico per eccellenza: incapace di dominare le sue passioni, sempre preso a contemplare la magnificenza della natura, desideroso di riempirsi l’animo della forza divina in essa contenuta. Forse un po’ un malato di metafisica. L’amore che prova per Carlotta (già promessa in sposa ad un altro) va al di là di ogni concezione umana, al di là di ogni senso della proporzione.

Certe volte non capisco come un altro possa averla cara, abbia il diritto di averla cara, mentre io amo lei, unicamente, così dal profondo, così pienamente, e non conosco, e non so, e non ho altro che lei.

Sente ogni cosa più degli altri, Werther, ha un cuore che non rimane estraneo a niente. Ogni cosa diventa troppo pesante da portare, ogni tentativo di “cambiar stato” diventa “un disagio” che lo seguirà ovunque. Il mondo gli diventa troppo difficile da capire, tutto gli diventa una dolorosa analogia con la donna che ama. Un mondo di crepuscolo, il suo, che trova la sua ragion d’essere nel delirio, nell’esagerazione spontanea e fisiologica di un desiderio insaziabile.

Ah, vedi, c’è come una muraglia davanti alla mia anima. Questo paradiso… e poi… l’abisso, per scontarvi il peccato… Peccato?

Ammetto di non aver apprezzato molto “Le affinità elettive”, che ho forse trovato troppo composto e geometrico e che, mea culpa, ho letto con un po’ di superficiale distrazione.

Classificazione: 4 su 5.

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