L’esistenza umana disdegna l’immobilità. È un pellegrinaggio che conduce ad una meta indefinita, una tensione senza risoluzione, una continua ricerca. Tale è la riflessione che Ludovico Ariosto, per mezzo di quei bizzarri personaggi figli della sua vivace fantasia, pone all’attenzione del suo pubblico.
La vita è ricerca. Ognuno è, infatti, vittima di un sogno vano, a cui si avvicina senza mai raggiungerlo. È il caso di Orlando che, mosso da un folle sentimento, cerca disperatamente la sua Angelica; della guerriera Bradamante che, spinta anch’ella dall’amore, insegue il pagano Ruggiero; dello stesso Ruggiero che, invece, s’industria al fine di realizzare il suo glorioso destino.
Dinanzi a tale mosaico labirintico di desideri e inseguimenti, ci si chiede: che senso ha questa ricerca frenetica e affannosa? L’oggetto del desiderio è un traguardo concreto o un pretesto?
La quête dei personaggi ariosteschi muove da presupposti vari e diversi tra loro, ma mira al medesimo fine, e cioè la conquista di qualcosa che dia senso alla propria esistenza. La follia di Orlando è la conferma più chiara ed evidente di tale interpretazione: l’uomo, davanti all’impossibilità di trovare il significato della propria vita, impazzisce. Non è, quindi, il rifiuto di Angelica a turbare l’animo del paladino, ma la consapevolezza (brusca e improvvisa) della vanità della propria ricerca.
Il messaggio profondamente rivoluzionario del poema è, però, un altro.
Se la vita è ricerca e tensione, non può esistere un uomo che non sia perennemente proteso verso un obiettivo. Quando viene meno la ricerca viene meno la vita stessa. È un’indagine che si pasce di se stessa, che non si esaurisce mai e che, per sua natura, è condannata all’incompiutezza.
Viviamo tutti nel Palazzo di Atlante: ciascuno si affligge nella frenesia della propria inchiesta, inseguendo ombre, voci lontane e chimeriche ambizioni.
Tutti cercando il van, tutti gli danno
colpa di un furto alcun che lor fatt’abbia:
del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno,
ch’abbia perduta altri la donna, arrabbia
[…] e vi son molti, a questo inganno presi,
stati le settimane intiere e i mesi.
Forse siamo tutti consapevoli dell’inutilità delle nostre ricerche, eppure ci affaccendiamo ugualmente sperando di trovare il significato che dia valore alle nostre esistenze, senza capire che l’unico vero senso unificatore si trova nella ricerca stessa. Ecco la grandezza del messaggio di Ariosto.
Un messaggio attuale, universale, che non ha tempo né coordinate geografiche, ma che vale per ognuno, in qualsiasi momento e circostanza.
Oggi più che mai siamo travagliati da illusioni e inganni. In un momento storico in cui possiamo affermare di esistere solo se lo dimostriamo agli altri (pubblicando contenuti, condividendo con uno schermo i nostri momenti più lieti) agognamo l’approvazione altrui, il successo, la costanza, e desideriamo assomigliare a macchine infallibili, accecati come siamo da ideali di spietata perfezione.
Siamo inclini a dimenticare che la vita è, prima di tutto, felicità, e lasciamo che l’ansia e la frenesia dei nostri desideri ci opprimano. Siamo fragili, insicuri, non comprendiamo a fondo l’intento delle nostre indagini. Inseguiamo obiettivi che non ci garantiscono il raggiungimento della felicità, giacchè quest’ultima non la si può trovare nell’altro, ma solo in noi stessi. Il confronto e la competizione ci rendono inquieti, nevrotici: profondamente insoddisfatti. Cerchiamo la felicità nelle inutili cose che acquistiamo compulsivamente, nell’amore, nel denaro, eppure rimaniamo sempre tragicamente delusi dalle nostre aspettative.
Può esistere una ricerca che non implichi frustrazione e disillusione?
Già Epicuro aveva compreso quanto la nostra dimensione individuale sia importante per il raggiungimento della vera felicità: si può essere realizzati e soddisfatti solo se autosufficienti. L’ αὐτάρκεια è il principio di quella palingenesi individuale di cui ciascuno avverte intimamente il bisogno: è una riforma morale che sposta l’obiettivo della nostra ricerca dall’esterno verso l’interno.
A mio avviso, l’unica certezza che ci è data è la presenza costante, nelle nostre vite, della ricerca. Indirizzandola all’esterno di noi, questa non potrà che opprimerci; se, invece, fossimo consapevoli del fatto che essa rappresenta la vera meta del nostro viaggio, la orienteremmo verso lande più vaste, e ci proporremmo come fine ultimo quello di esplorare la nostra individualità e di trovare, in essa, la vera essenza della felicità.


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