Questa mia assurda caducità

Brevissimo racconto (in parte) autobiografico.

Scomodo è il pensiero della morte.

S’insinua furtivo in ogni dove (invisibile, eppure ineluttabile) e sicuramente attanaglia perfino la coscienza di quel giovanotto che vedo sull’altro lato della strada. È ben vestito, pare distratto, ma non per questo decido d’andar via: la sua noncuranza, più che respingermi, m’attrae. Rimango incollata alla strada, come cercando di cogliere un briciolo di eternità — che, sì, da qualche parte dovrà pur essere! Chissà se io non debba solo guardarmi attorno con più attenzione… — , ma non lo trovo, ovunque mi volti, ecco che corre, che scappa, lasciandosi appena intravedere mentre già assume una forma nuova che non sono in grado di decifrare.

Incrocio gli occhi del ragazzo (così giovani rispetto ai miei, così puerili), e son sicura che davanti a quegli stessi occhi (che ora tentano di evitare il mio sguardo) sarà passata cento, mille volte quella stessa consapevolezza che da giorni non mi concede un’ora di sonno tranquillo: sono carne, qui, ora, e sarò nulla tra un paio di minuti soltanto.

Mi sono chiesta più volte: quanto sono legata alla mia carne? Ai miei desideri intellettuali (tanto accesi da sembrare sostanza viva ardente e fremente in balìa delle mie ambizioni) e materiali, a questi colori, a questa strada che calpesto, a queste vesti che indosso? Tanto piena mi si rivela la vita (tanto ricca e mutevole), eppur così tragica nella sua sostanziale inconsistenza.

Il ragazzo incrocia il mio sguardo per un attimo. Non so quanti anni ci separano, forse trenta, forse trentacinque, ma realizzo che non m’interessa poi sul serio. Mi ritrovo, però, a pensare al momento in cui spirerà. Mi ritrovo a pensare ai suoi figli, ai figli dei suoi figli e a tante, tante altre generazioni che verranno e se ne andranno, come fossero il nutrimento essenziale di un organismo superiore, un ineluttabile focolare che si serve di me, di te, di noi tutti al solo scopo di preservare se stesso.

Ho scritto parole per tutta la vita sperando di essere immortale. Ma quando la mia coscienza si dissolverà nel nulla (e tornerò ad un primitivo e inanimato stato di materia pura e incontaminata) questa immortalità mi sarà inutile, e perfino superflua: tanto vivo arderà in me, fino all’ultimo secondo, il desiderio di carezze che me ne andrò cullata da un’inconsolabile nostalgia.

Capisco di aver messo il ragazzo a disagio. Vorrei chiedergli scusa, se solo fossi così sfacciata da potergli urlare qualche parola confusa. Sola e logorroica come sono, mi verrebbe quasi da andargli vicino e raccontargli questa storia che mi porto dietro da cinquant’anni.

Gli chiederei se anche lui, come me, ha sempre visto nelle cose prima di tutto il loro essere transitorie. Gli chiederei se anche per lui è scomodo il pensiero della morte. Anche le mie parole, però, sfumerebbero prima che me ne possa accorgere.

A conferma della mia tesi, mi basta chiudere gli occhi per qualche secondo in più e già non c’è più anima viva al di là della strada.

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