Sulla necessità di conciliare gli opposti

Da tempi immemori gli uomini portano sulle spalle quel conflitto irrisolto tra numeri e lettere, tra ragione e sentimento, tra la praticità delle cose utili e la bellezza di quelle apparentemente inutili, senza essere mai giunti alla fatidica conclusione che, in un certo senso, prevede l’indiscussa vittoria di una delle due cose sull’altra. 

Pur sapendo che banalizzare raramente ci consente di analizzare un fenomeno nella sua completezza, tutti noi, almeno una volta, ci siamo ritrovati a pensare a questi due mondi (quello scientifico e quello umanistico) come a due entità nettamente separate tra di loro: al primo, come al mondo del rigore, del progresso, della pragmaticità; al secondo, come al mondo del sentimento, della metafisica, della bellezza fine a se stessa. E in un certo senso, potremmo dire che è proprio così. Allora sorge spontanea la domanda: quale delle due realtà è la lente migliore attraverso cui vedere il mondo? 

Ma la domanda più importante sarebbe: perchè sceglierne solo una?

Più volte la vita mi ha insegnato che la tanto agognata “verità” si trova sempre nel compromesso, nell’accettazione degli opposti, nell’accogliere dentro di sé contrasti apparentemente inconciliabili, per poi portarsi dietro il prodotto di questa meravigliosa fusione ed imparare che il mondo (vorrà perdonarmi Fitzgerald) si osserva meglio quando ci si affaccia a più finestre nello stesso istante.

È incredibile realizzare che tutto il mondo è regolato dalle supreme leggi della fisica, che la matematica si avvicina così tanto alla perfezione e alla chiarezza, che l’uomo è riuscito quasi a superare se stesso con quello stesso progresso tecnologico da lui avviato. 

Bisogna anche considerare, poi, che, in quanto esseri umani, siamo dotati di una lucida coscienza di noi stessi e del mondo che ci circonda e non siamo guidati dai soli istinti vitali, ma anche dal nostro innato bisogno di ragionare e interagire in un determinato modo con la realtà circostante: nessun animale saprà mai percepirsi con tanta chiarezza, o apprezzare la bellezza, saper scrivere un verso, interrogarsi sull’etica, dipingere un quadro, esplorare l’intangibile. Le discipline umanistiche sono dunque un modo per ricordarci questo: abbiamo inventato la Bellezza (con la B maiuscola), in quanto unica specie capace di comprenderla, e abbiamo tentato di incarnarla in infinite forme.

Ora risulta inevitabile una certa riflessione: come è mai possibile comprendere appieno la realtà appropriandosi di una sola di queste mentalità? 

Ogni vicenda quotidiana rafforza quella mia convinzione secondo cui tutti gli scontri tra opposti siano non solo dannosi, ma soprattutto privi di una qualsiasi utilità, perché non si potrà mai essere “completi” se non accettando le peculiarità di un qualcosa che non ci appartiene naturalmente. Una mentalità scientifica (con il suo metodo, la sua accuratezza, con la sua tendenza al progresso, il suo voler andare al di là dei confini umani) potrà percepire un’infinità cose del mondo circostante, ma svaluterà la propria dimensione di essere umano, considerandola, chissà, forse come troppo limitata. Allo stesso modo, una mentalità umanistica (che, per l’appunto, ricercherà nell’uomo e nelle cose che rendono bella la sua vita il senso di ogni cosa) che non lascia spazio alla “razionalità”  tipica delle menti matematiche, finirà anch’essa con l’essere, in fin dei conti, ipovedente.

E pensare, per esempio, che perfino l’invenzione della scrittura (ora il vessillo della cultura umanistica in particolare) ai tempi non era altro che questo: una scoperta scientifica, un progresso che ai tempi poteva dirsi quasi tecnologico; che la ricerca filosofica è animata dallo stesso istinto che anima quella scientifico-tecnologica, e viceversa; che la musica (a mio parere, l’arte completa per eccellenza) non sarebbe tanto magnifica ed eterea se a comporla non vi fossero insieme leggi matematiche e suggestioni “spirituali”.

Infine, lettore, c’è un’altra cosa di cui mi sono accorta, che ritengo essere la più curiosa tra tutte le cose dette fino ad ora. Un matematico e uno scrittore, che dopo un’accesa discussione si ritroveranno per caso a contemplare un certo paesaggio, rimarranno eternamente affascinati (per motivi differenti, ma entrambi meravigliati e intimoriti) di fronte allo spettacolo sempre nuovo della natura, che con le sue leggi immutabili sopravviverà a tutti i numeri e a tutte le lettere. Sopravviverà alle formule che hanno tentato di spiegarla e alle poesie che hanno provato a coglierne l’immensità.

Lascia un commento

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora