“Cosa importa che sia una malattia” decise infine “e che sia un impulso anormale, se il momento della sensazione, ripensato e osservato una volta tornato in condizioni di salute, si rivela come massimo grado dell’armonia, della bellezza, dà un senso di pienezza mai provato e immaginato fino a quel momento, di equilibrio, di pacificazione e di entusiastica, fervente fusione con la suprema sintesi della vita?”
Bisogna essere “idioti” per percepire la vita nella sua più dimensione più vera e autentica? Per trovare la bellezza che redimerà il mondo, per entrare a contatto con il sublime?
Sono queste le domande che Dostoevskij si pone scrivendo “L’idiota” (titolo alquanto umoristico, tra l’altro, se si pensa al fatto che il protagonista rappresenti l’ideale più nobile e alto per lo scrittore stesso).
Complessa e banale è la figura dell’ingenuo principe Myškin, un uomo puro, fanciullo alla ricerca della bontà. Hermann Hesse definisce il suo modo di pensare “magico”, ed è questo rifiuto della realtà altrui (“che per lui è come un’ombra”) a renderlo Idiota.
Un Idiota che non capisce quand’è il momento di tacere e quand’è il momento di parlare, disposto ad aiutare tutti, indistintamente, e ad abbracciare perfino gli abietti con la sua spropositata bontà. Un uomo che spesso non capisce ciò che gli accade attorno: la sua mente è limpida, il suo animo incontaminato, la sua fiducia cieca. È un uomo malato, ed è proprio la sua malattia a far di lui un essere così patetico e divino. Ha scoperto il senso di tutto, ha scoperto l’oblio, e per questo crede nella Bellezza più di chiunque altro. Crede nella compassione, crede nella bontà, in tutte quelle cose che, a parer suo, potranno redimere il mondo dalla miseria in cui è precipitato.
Nell’istante che precede i suoi attacchi epilettici, il giovane principe si eleva al di sopra di ogni cosa, e arriva in un luogo inaccessibile, una sorta di inconscio collettivo, universale, se vogliamo.
Folgorazioni di suprema sensazione e coscienza di sé e, perciò, di superiore esistenza.
Sì, la natura è beffarda! Perché crea gli esseri migliori per poi deriderli?
Ippolit
Tormentoso e quasi brutale è il suo rapporto con il folle Rogožin, con l’enigmatica Nastas’ja Filippovna; crudele, beffarda e infantile è la giovane Aglaja, struggente la storia del malato Ippolit. Sono trame intricate che s’incastrano fra di loro indissolubilmente e che dipendono straordinariamente le une dalle altre.
Leggere l’Idiota è come fare un passo nell’irrazionale. È un’illuminazione (maligna e benigna) che ci acceca, ci permette di respirare profondamente in una realtà priva di ossigeno. Myškin è l’estraniazione, lo spaesamento, il non sapersi orientare: rappresenta la chiave per smascherare questa realtà volta esclusivamente al profitto ed è al contempo la risorsa più grande e il maggior pericolo per l’odierna società. È una lettura colossale, lenta, descrittiva, forse “noiosa” in alcuni punti, ma illuminante, e allucinante. Dostoevskij stesso lo considerava, al tempo, come l’obiettivo più alto della sua vita artistica.
Ancora oggi non faccio che pensarci: la bellezza salverà il mondo? E il mondo non si salva perchè la bellezza è difficile da trovare, o perchè l’abbiamo persa di vista?
Volendo attualizzare il verbo del caro Fëdor, tante cose si potrebbero dire. Forse la bellezza non ci è stata insegnata, non ci è stato insegnato il senso delle cose autentiche, l’appartenenza irrazionale e viscerale alle leggi della vita, delle cose che contano realmente; oppure forse l’idea stessa di bellezza è andata incontro ad un pericoloso deterioramento nel corso del tempo? Intrappolati in un individualismo cosmopolita, chiusi in una bolla e al contempo in contatto con il mondo intero, com’è possibile, mi chiedo, parlare di contatto con il sublime?
La compassione è la legge più importante, e forse l’unica della vita di tutta l’umanità.
Che ci sia ancora questa compassione, che ci sia ancora la commozione, che ci sia ancora, insita nelle nostre vite, una specie di magnificenza salvifica?
Sono giunta ad una conclusione, forse un po’ fallace, ma che mi soddisfa: la passione, cari lettori, ecco la bellezza! Amare la vita con occhi giovani, e respirarla, questa vita, a pieni polmoni, “amarla con le viscere”, direbbe un Karamazov, costruire i propri giorni su nobili ideali e trovare questa nobiltà d’essere in quello che si fa, ecco cosa!
Ed ora vi pongo un ultimo quesito prima di dileguarmi: come potrebbe un uomo non salvarsi al cospetto di una forza vitale tanto potente? Potrebbe rimanere ancora a lungo a marcire e a deteriorarsi nel sottosuolo?


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